Oggi è venerdì 13. Su Twitter tutti ci scherzano e mi è venuto in mente parlare della superstizione, ma di quella vera, non di quella ironica dei tweet.
Pare che non ce ne possiamo liberare, siamo nel 2015, migliaia d’anni di pensiero scientifico-razionale, migliaia di studio dell’universo e della terra, che hanno prodotto un bagaglio di conoscenze che comincia ad essere discreto.
Eppure la maggior parte della gente, anche acculturata, indulge nelle sue piccole o grandi superstizioni.
Da quelli che ti chiedono di che segno sei, a quelli che credono davvero che gatti neri, venerdì di varia numerazione, magie, Cabala e riti simil Woodoo possano incidere sulla vita e sulla fortuna, a quelli, infine, che credono in un qualche indescrivibile dio e in una vita dopo la morte, ciò che viene comunemente chiamato religione.
La vita dopo la morte, o meglio la paura della morte, secondo me, è proprio la ragione prima dell’esistenza di ogni forma di superstizione. L’uomo pare non voler accettare un fatto così banale come quello che prima o poi deve morire e si inventa ogni sorta di fantasia su possibili scappatoie.
Su questa fobia, che lascia smarriti i più, hanno speculato e lucrato (intellettualmente ed economicamente) milioni di sacerdoti e illustri interpreti del sommo pensiero del dio locale, che guarda caso ha sempre promesso una vita di delizie dopo la morte ai suoi accoliti.
Io non ho una grande cultura sull’argomento, ma non ricordo di aver mai sentito di un dio che abbia lasciato scritto ai suoi fedeli: “Mi spiace, ma dopo la morte sarete proprio morti”.
No. Promettono paradisi o minacciano inferni, ma comunque da vivere. Dopo la resurrezione cristiana, in data da stabilire, o immediatamente, con sovrappiù di vergini per eventuali martiri, nell’Islam.
Nemmeno i buddisti, che non credono nell’esistenza di un vero e proprio dio, sfuggono al bisogno di rassicurarsi di una prosecuzione di vita. La immaginano come una migrazione della propria essenza vitale da un corpo ad un altro, ma comunque non prevedono lo spegnimento definitivo della loro vita.
Eppure, io credo che se imparassimo ad accettare che di vita, per ognuno di noi, ce n’è una ed una sola, se accettassimo con serenità la morte, forse potremmo capire meglio che non vale la pena sprecarla. Capiremmo, anzi, che la vita dovrebbe essere vissuta al meglio, mettendo la massima qualità nelle cose che facciamo. Collaborando per la migliore riuscita, non combattendo.
Che l’unica vera vita dopo la morte sta nelle cose che lasci a chi ti segue, nel cercare di far sì che tuo figlio sia migliore di te, che il frutto sia migliore dell’albero.
E’ un lavoro faticoso e difficile, ma che da soddisfazione, e la guerra è un’inutile spreco di tempo.
Eppure son tutti lì a correre dietro al profeta di turno, che promette vita futura, certa e sicura, senza neanche richiedere la clausola “Soddisfatti o rimborsati”.
“Il gestore è onesto, me lo ha garantito un’amica, che conosce uno che è già morto e che gli ha mandato a dire che sta benissimo e l’ha invitata a raggiungerlo quanto prima. Beh, magari aspetto un po’ ad andarci, ma quando sarà il momento ….”.