Sono passate da poco le 11 di sera, in radio siamo in una ventina, sto lavorando con mio fratello per riuscire a collegare dei ricetrasmettitori CB da portare in giro per la città e fare delle interviste volanti, intanto si discute dei fatti accaduti. La situazione nelle strade si è tranquillizzata, gli scontri che erano ricominciati anche questa mattina si sono fermati. Cominciamo a credere che siano finiti del tutto.
Improvvisamente sentiamo battere forte alla porta e, dalla finestra che guarda sulle scale, vediamo la polizia con i mitra spianati e i corpetti antiproiettile, una roba da squadra swat nei film americani. I compagni decidono di scappare dai tetti, rimaniamo in quattro, un quinto verrà arrestato sulle scale. Quei minuti drammatici di trasmissione fanno parte della storia della radiofonia e li potete ascoltare da qui. (Umberto Eco li userà poi per tenere una sua lectio magistralis alla Sorbona di Parigi, sulle forme di comunicazione radiofonica).
Radio Alice non viene perquisita, viene letteralmente svuotata di ogni cosa, la polizia porta via perfino i telefoni di proprietà Sip (l’allora Telecom). Noi veniamo arrestati e, una volta negli uffici della “Mobile”, veniamo pesantemente picchiati dai poliziotti (Il dottor Lomastro, capo della Mobile, anni dopo dichiarerà a Repubblica, che quando ha saputo che eravamo stati picchiati gli è spiaciuto e mi ha chiesto scusa. Mentiva).
In carcere ci siamo stati diversi mesi, io “solo” tre e mezzo, ma Stefano Saviotti oltre cinque. Ma per cosa? L’accusa era ovviamente ridicola: siccome uno dei ragazzi che avevano trasmesso la mattina aveva invitato gli ascoltatori a partecipare agli scontri, il magistrato sosteneva che la Radio dirigeva gli scontri, che tutti noi avevamo costituito la radio un anno e mezzo prima per poter delinquere poi, quando ce ne sarebbe stata l’occasione. D’altronde la responsabilità penale è personale e volendo arrestarci tutti e non solo chi aveva detto la frase, si era inventato questa roba assurda. Neanche a dirlo, quando sette anni dopo si sono degnati di processarci, l’assoluzione l’ha chiesta prima di noi il pubblico ministero.
Ma perché Radio Alice? Radio Alice era da sempre una spina nel fianco dei partiti, delle istituzioni e degli affaristi. La radio non conosceva nessun filtro e nessuna censura, quindi chiunque poteva venire/telefonare in radio e trasmettere in diretta ciò che vedeva sui luoghi di lavoro e negli uffici, dire ciò che pensava di qualsiasi politico o amministratore.
Più volte esponenti di PCI e DC ne avevano chiesto la chiusura. Mal sopportavano le trasmissioni satiriche, che li deridevano. Non avevano certo riso quando Bifo telefenò in diretta ad Andreotti, spacciandosi per Umberto Agnelli, e dicendogli che gli operai, sotto le sue finestre gridavano “Andreotti, tu sei pazzo, noi non pagheremo più un cazzo!”.
La radio era diventata il cuore della creatività antagonista, il luogo in cui si trovavano tutti gli artisti, i maestri bolognesi del fumetto (Bonvi, Scozzari, Pazienza …), i musicisti demenziali o meno (Skiantos, Claudio Lolli, Gaz Nevada, Guccini, la Sarabanda …), i poeti e gli scrittori, i pittori e gli scultori, gli attori e i registi, i giornalisti. Tutti questi collaboravano, progettavano e trasmettevano assieme all’operaio, allo studente, al disoccupato, al collettivo “frocialista”, al collettivo femminista, ad un gruppo di maschi rattristati dalle morose che li avevano lasciati perché diventate femministe, ai fuorisede della Val Camonica.
E’ evidente che una simile amalgama di irrispettosa creatività non poteva che scontrarsi con chiunque ritenesse se stesso una persona seria, il suo ruolo istituzionale serio, il suo partito serio.
Alice non rispettava niente e nessuno, neanche se stessa, figuriamoci gli altri. Non aveva filtri e censure, abbiamo detto, ma non aveva neanche palinsesto (chiunque poteva trasmettera quel che gli pareva, quando gli pareva, perché gli pareva), non aveva una redazione (nessuno decideva quali notizie dare, se e perché). Uno dei nostri motti era “Notizie forse vere, forse false, ma sicuramente tendenziose”.
Radio Alice era il faro dell’intelligenza che squarciava la buia notte dei grigi, degli ottusi e dei pericolosi.
Su Radio Alice sono stati scritti una dozzina di libri, non solo italiani, sono stati girati due film (un documentario e uno di fiction), scritte centinaia di tesi di laurea, pubblicati migliaia di articoli di giornale, di blog e siti web, trasmissioni radiofoniche e televisive, le sono stati dedicati spazi nelle gallerie d’arte (anche alla GAM di Bologna, c’è uno spazio su Alice).
Non c’è corso universitario sulla comunicazione che non la citi, ancora oggi, ma già nel ’76 abbiamo ospitato delegazioni universitarie olandesi, francesi e non ricordo più cosa, venute a studiare il fenomeno e la forma comunicativa. Tutto questo è sopravvissuto alla chiusura manu militari e ad ogni forma di repressione, malgrado Radio Alice non abbia memoria.