Sono passati 38 anni, ma mi ricordo tutto molto bene.
Per chi non c’era, questi i fatti:
Era la prima volta che un magistrato indagava seriamente su scandali, mazzette e politici corrotti, parliamo del primo scandalo Lockheed. Per la prima volta anche la cosiddetta opinione pubblica prestava attenzione a questi fatti e rumoreggiava. Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, (il 7 marzo – mi pare) dichiarava a gran voce “Non ci faremo processare sulle piazze!”. Il PCI, impegnato a mostrarsi di buon carattere per fare accettare il “Compromesso Storico”, balbettava un po’ di indignazione, ma senza disturbare troppo. Occorreva qualcosa per distrarre gli italiani dallo scandalo e impegnare la base PCI a combattere altre guerre.
Verso mezzogiorno dell’11 marzo, c’è una scaramuccia fra alcuni militanti del “Movimento” e un gruppetto di studenti di Comunione Liberazione. Una mezza scazzottata e molti insulti, come, purtroppo e poco intelligentemente, avveniva spesso in quel periodo di grandi passioni e altrettanto forte ideologizzazione. Le forze dell’ordine intervengono pesantemente, lo scontro diventa fra militanti e carabinieri, ci sono lanci di sassi, lacrimogeni, credo anche una Molotov. Un carabiniere spara ad altezza d’uomo e uccide Francesco Lorusso, studente di Medicina e militante di Lotta Continua.
Da dopo la guerra, non era mai successo, a Bologna, che qualcuno morisse per mano della polizia. Lo shock è enorme, la notizia si diffonde in un attimo. La reazione del Movimento è immediata e altrettanto emotiva. Alle tre del pomeriggio un corteo di migliaia di persone parte da via Zamboni e raggiunge la sede della DC bolognese. Qui una parte dei manifestanti attacca la polizia, determinati a distruggere la sede democristiana. Gli scontri si spostano e si propagano per tutto il centro storico, in via Indipendenza, alla stazione. A sera il movimento si barrica nella zona universitaria. Tutte le facoltà sono occupate.
Accade di tutto. C’è chi saccheggia il ristorante Al Cantunzen e altri locali della zona. C’è anche chi svuota un’armeria poco lontano (uno dei tanti episodi mai chiariti del periodo). Ma ci sono anche momenti epici, come la figura di Antonio che, a fianco della barricata, suona Chicago al pianoforte, in mezzo al fumo dei lacrimogeni.
La polizia, per riprendere possesso del quartiere, un paio di giorni dopo, impiegherà le autoblindo.
Ovunque le radio sono accese e ovunque risuona la voce di Radio Alice.
Nessuno riuscirà mai a convincermi che i fatti del primo e del secondo paragrafo sono slegati. Che l’omicidio di Francesco sia stato un evento casuale e che il morto non sia stato “cercato”. Ne ero convinto allora e lo sono ancora oggi. Bologna era una piazza con bassi problemi di ordine pubblico. C’era un forte Movimento di opposizione, alimentato da un’ampia presenza di studenti universitari fuori sede, ma era un movimento che si esprimeva soprattutto con azioni “creative”, artistiche, ironiche. La componente “militarizzata”, violenta, non era forte come a Milano, Roma e altre città. Vuoi che fosse l’alto livello culturale, vuoi che fosse l’influenza del DAMS, vuoi che fosse l’esistenza di Radio Alice, che incanalavano la protesta su attività più di stampo culturale, folclorico e comunicativo.
Non c’erano davvero le condizioni, lo stress emotivo, o altre ragioni per sparare qui. L’unica ragione poteva essere solo quella di creare un caso deflagrante nella città modello del più forte partito comunista europeo. Alzare il livello dello scontro e obbligare il PCI a difendere una classe dirigente dedita al ladrocinio e, quindi, a squalificarsi di fronte alla parte sana della società. Una scelta di parte che costuirà l’inizio della decadenza. Non basterà il grido di Berlinguer “Noi abbiamo le mani pulite!” a ridargli credibilità. Alla fine questa deriva lo porterà addidrittura a fondersi con il partito che ha sempre rappresentato il malcostume in Italia, diventando il Partito Democratico che abbiamo davanti agli occhi. Il partito di chi butta nel cesso la Costituzione, per rubare sempre di più.